Le pratiche sleali nell’agroalimentare costituiscono uno dei problemi di maggiore rilevanza nel settore. Nel 2019 era intervenuta la Direttiva (Ue) 2019/633 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 17 aprile 2019 in materia di pratiche commerciali sleali nei rapporti tra imprese nella filiera agricola e alimentare. Lo scorso 4 novembre, dunque, il Consiglio dei Ministri ha deliberato l’attuazione della direttiva menzionata nonché dell’articolo 7 della legge 22 aprile 2021, n. 53.
Le norme intendono agire sugli squilibri nel potere contrattuale tra fornitori e acquirenti di prodotti agricoli e alimentari. Ne ho parlato più volte nel podcast. Tali pratiche, spesso fortemente dannose per i produttori, specie se piccoli e i medi, sono state oggetto di studio da parte della Commissione a lungo[1].
Ecco il contenuto della direttiva.
Pratiche sleali nell’agroalimentare: i soggetti
La direttiva trova applicazione ai rapporti che coinvolgono:
a) fornitori con un fatturato annuale pari o inferiore a 2 000 000 EUR ad acquirenti con un fatturato annuale superiore a 2 000 000 EUR;
b) fornitori con un fatturato annuale compreso tra 2 000 000 EUR e 10 000 000 EUR ad acquirenti con un fatturato annuale superiore a 10 000 000 EUR;
c) fornitori con un fatturato annuale compreso tra 10 000 000 EUR e 50 000 000 EUR ad acquirenti con un fatturato annuale superiore a 50 000 000 EUR;
d) fornitori con un fatturato annuale compreso tra 50 000 000 EUR e 150 000 000 EUR ad acquirenti con un fatturato annuale superiore a 150 000 000 EUR;
e) fornitori con un fatturato annuale compreso tra 150 000 000 EUR e 350 000 000 EUR ad acquirenti con un fatturato annuale superiore a 350 000 000 EUR.
Le pratiche individuate dalla direttiva
La norma individua, all’articolo 3, le pratiche sleali dividendole in due: quelle vietate e quelle che, invece, possono essere ammesse dalle parti. Tra le prime figurano, ad esempio:
- Pagamento in ritardo,
- Annullamento di ordini di prodotti deperibili con preavviso breve,
- Modifica unilaterale delle condizioni di un accordo di fornitura,
- Richiesta di pagamenti non connessi alla vendita dei prodotti del fornitore,
- Richiesta di pagamento per deterioramento o perdita di prodotti verificatisi presso i locali dell’acquirente,
- Diffusione di segreti commerciali,
- Minaccia di mettere in atto ritorsioni commerciali,
- Richiesta di risarcimento del costo sostenuto per esaminare i reclami.
Nella seconda categoria rientrano, invece,
- Restituzione d prodotti invenduti senza corresponsione di pagamento,
- Richiesta di pagamento come condizione per immagazzinamento, esposizione, inserimento in listino,
- Richiesta di accollarsi il costo degli sconti,
- Pagamento della pubblicità dei prodotti,
- Richiesta di pagamento dei costi di marketing,
- Pagamento del costo del personale.
Denuncia delle pratiche sleali
I fornitori possono denunciare le pratiche sleali presso l’autorità di contrasto dello Stato membro ove sono stabiliti o in cui è stabilito l’acquirente. Possono presentare denuncia anche le organizzazioni di fornitori, produttori e le loro associazioni.
[1] Ad esempio con la comunicazione della Commissione del 28 ottobre 2009 sul migliore funzionamento della filiera alimentare in Europa, la comunicazione della Commissione del 15 luglio 2014 per affrontare le pratiche commerciali sleali nella filiera alimentare tra imprese, e la relazione della Commissione del 29 gennaio 2016 sulle pratiche commerciali sleali nella filiera alimentare tra imprese. Nel 2011, inoltre, il Forum di alto livello per un migliore funzionamento della filiera alimentare, aveva individuato e approvato alcuni principi relativi a buona prassi nelle relazioni verticali di filiera. La direttiva, peraltro, è frutto della risoluzione del Parlamento del 7 giugno 2016 con cui si invitava la Commissione a presentare una proposta relativa un quadro giuridico dell’Unione in materia di pratiche commerciali sleali.