Quella tra i marchi e le denominazioni protette è una questione che ha a lungo impegnato la dottrina. Oggetto di contesa è la validità del marchio registrato in buona fede precedentemente alla creazione di una nuova denominazione protetta.
Marchi e denominazioni protette: la decisione della Corte di Cassazione
Sul punto è intervenuta la Corte di Cassazione con la sentenza 23/10/2019, n.27194. Secondo la Suprema Corte:
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la differenza di funzioni sussistente tra marchi e indicazioni geografiche o denominazioni di origine protetta non esclude, alla stregua della normativa e della giurisprudenza Europea, l’interesse comune, rappresentato dall’uso del nome geografico nell’ambito delle produzioni agricole e alimentari, quale vantaggio competitivo che l’indicazione dell’origine è in grado di garantire al prodotto, per cui il titolare di un marchio registrato in buona fede in epoca precedente la denominazione di origine protetta ben può proseguire, nonostante la successiva registrazione di detta denominazione protetta, l’uso del marchio, ai sensi dell’art. 14, comma 2, del Regolamento n. 510 del 2006, laddove non ricorrano ragioni di nullità o decadenza del marchio stesso”.
Il caso “Altopiano di Asiago”
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Nel caso di specie, “pur evocando la dicitura “Altopiano di Asiago” la denominazione di origine protetta ‘Asiago’, della quale recepisce l’unico elemento che la compone, l’utilizzo del marchio registrato in epoca precedente alla suddetta denominazione, recante la medesima indicazione di provenienza geografica, deve ritenersi, pertanto, consentito, in forza della previsione di cui all’art. 14 del Regolamento n. 510 del 2006 che tiene conto del preuso, qualora, considerata la natura stessa del marchio, il riferimento esclusivo alla reale provenienza geografica del prodotto e la mancanza di imitazioni, anche mediante contraffazione o camuffamento, di un termine adoperato nella D.O.P., il giudice di merito accerti che tale marchio sia stato, altresì, registrato in buona fede; in tale valutazione il giudice di merito dovrà, altresì, tenere conto del fatto che l’indicazione della zona di produzione dell’alimento immesso sul mercato è consentita, ed in alcuni casi perfino imposta, al produttore garantito dalla preventiva registrazione del marchio, ai sensi dell’art. 2, comma 1, lett. a) e art. 3, comma 1, n. 8 della Direttiva 2000/13/CE.